31 ottobre 2008

Chi paga è sempre il lavoratore dipendente e i ceti più deboli

Proprio in questi giorni assistiamo ad una grande partecipazione studentesca che cerca attraverso manifestazioni di piazza, fiaccolate, sit-in, occupazioni di facoltà universitarie di portare a termine con determinazione la protesta contro la riforma Gelmini che taglia alla scuola 7,8 miliardi di euro. Gli studenti protestano e fanno capire chiaramente che la crisi finanziaria di un mercato senza regole non sono disposti a pagarla loro attraverso la sottrazione scientifica e senza criterio di risorse, dalla scuola elementare alle università.
Anche a Taranto a quanto pare il copione non cambia e si vuole far pagare i costi della crisi alla ai ceti più deboli e soprattutto ai lavoratori.
La Segreteria provinciale del Partito della Rifondazione Comunista trova inaccettabile la posizione assunta dal gruppo RIVA che non trova di meglio che mettere in cassa integrazione 2028 lavoratori per uscire dal periodo di crisi che ha colpito l'economia reale .
Dopo anni di record di produzione di acciaio senza sosta (si parla di 11 milioni di tonnellate in un anno), di utili super (878 milioni di euro solo nel 2007), oggi l'azienda ha deciso un taglio drastico alla produzione.
La conseguenza avrà dei riverberi sui lavoratori, gli stessi che in questi anni hanno garantito all’azienda eccellenti risultati senza avere nulla in cambio.
Il tutto proprio mentre, guarda caso, è in corso la trattativa sulla contrattazione integrativa e subito dopo l'annuncio del Presidente della Regione Puglia il compagno Nichi Vendola che propone, giustamente, una legge regionale per l'abbassamento delle emissioni di diossina. Pura coincidenza o ennesimo ricatto al territorio?
Nel frattempo il gruppo Riva per la prima volta decide di investire 80 milioni di euro in un'operazione che non ha nulla a che vedere con la siderurgia; infatti, come abbiamo appreso dai media, entra nella cordata tutta italiana che ha acquistato l'Alitalia. E nelle stesse ore, per una miracolosa coincidenza, la ministra Prestigiacomo annuncia che i dati rilevati dall'Arpa non sono affidabili e cambia tutta la commissione per il rilascio dell'a.i.a.
Il gruppo Riva sostiene che tutti i problemi riguardanti l'ambiente sono tutte invenzioni di ambientalisti, che non esiste nessun problema della diossina, che a Taranto non c'è nessun rischio tumori per i cittadini e i lavoratori.
Insomma non dobbiamo creare allarmismi inutili; dobbiamo fare come gli struzzi e mettere la testa sotto sabbia e subire l'impatto ambientale in cambio del posto di lavoro.
Oggi accade proprio questo, chi paga sono i lavoratori che subiranno le scelte assunte dall'azienda che incomincia mettendo in cassa integrazione ordinaria per il momento 2028 operai, togliendo dai guai economici patron Riva che beneficerà di ammortizzatori sociali, che a nostro parere non dovrebbero essere concessi visto che abbiamo di fronte un'azienda sana che potrebbe tranquillamente sopperire senza aiuti di tutta la collettività che è stufa di intervenire a favore di banche e imprese.
Rifondazione Comunista ritiene che le Istituzioni, le parti politiche, i sindacati, i lavoratori, non debbano piegarsi davanti all’ennesimo ricatto.
E’ venuto il momento di farla finita con l’arroganza, l’indifferenza di questo padrone, appoggiato politicamente dal governo di destra che gli fa da scudo di fronte alle tematiche ambientali, ringraziandolo cosi per aver partecipato alla cordata CAI con i soldi degli operai dello stabilimento salvando la faccia a Berlusconi offendendo e diffamando i tarantini e il territorio.
Taranto non subisca, si svegli prima di ritrovarsi in una situazione peggiore di questa! Un solo uomo non può decidere il destino di migliaia di famiglie e di questo gia martoriato territorio!

Segreteria provinciale di Taranto di Rifondazione Comunista

28 ottobre 2008

I buoni consigli del picconatore

E’ notizia di questi giorni il “consiglio” che il Grande Picconatore, al secolo Francesco Cossiga, ha dato al ministro degli interni Maroni.
In pratica si consiglia al ministro di infiltrare dentro i movimenti studenteschi alcuni agenti di Polizia con l’unico scopo di esortare i manifestanti a compiere atti di vandalismo, poi, passati alcuni giorni con le città messe a soqquadro e ottenuto il consenso della popolazione stanca, ormai di subire le violenze da parte dei “rivoluzionari” scatenare le forze di Polizia contro i manifestanti senza che nessuna coscienza si indigni.
La cosa è a dir poco riprovevole, se pensiamo alle morti assurde che in passato questo comportamento ha provocato (Carlo Giuliani, Giorgiana Masi) lo è se possibile ancora di più se a parlare è una persona che ha ricoperto le più alte cariche istituzionali della Repubblica.
La scarsa considerazione in primis per la vita umana e poi per i diritti dell’individuo che traspare da questo intervento di Cossiga la dice lunga sulla caratura morale di chi ha governato l’Italia e di chi la sta governando.
Infatti l’uscita dell’ ex presidente della Repubblica ( nonché ex presidente del Consiglio e ministro degli Interni) completa un quadro a tinte foschissime cominciato con le impronte digitali agli stranieri, seguito con la proposta di classi separate per studenti stranieri ed infine spunta mister Gladio a dar consigli.
Che succede all’Italia?
Siamo diventati improvvisamente fascisti e razzisti?
A mio modesto parere queste situazioni sono figlie delle paure che la destra attuale è maestra nell’ agitarle.
Paura del diverso, paura dello straniero, paura dello studente incazzato, paura del comunismo ecc.
Paure che onestamente non esistono e che però a qualcuno fanno comodo che esistano, per tenere le coscienze addormentate, le persone sotto schiaffo e continuare a fare i propri porci comodi, un po’ come accadeva qualche secolo fa quando agitando la paura dei fantasmi e dei licantropi si tenevano le persone tappate in casa dopo il tramonto a favore dei contrabbandieri e malavitosi d’ogni sorta che così, indisturbati potevano tranquillamente portare avanti i propri loschi affari.
Bastò l’avvento dei lumi a olio per fare strage di fantasmi e licantropi.
Purtroppo oggi non è così semplice, perché i lumi non vanno accesi per strada ma nelle coscienze dei cittadini, e francamente, di questi tempi l’impresa appare molto ardua.
Norberto

27 ottobre 2008

Ilva di Taranto, niente premio di risultato a chi sciopera per avere più sicurezza


Pubblichiamo (anche se in ritardo) un’intervista rilasciata al quotidiano Liberazione dell’08/10/2008 dal compagno Francesco Brigati, attivista sindacale della Fiom-Cgil all’Ilva di Taranto, nonché Responsabile Lavoro della Segreteria Provinciale del PRC di Taranto.

Fabio Sebastiani
Ma quale è esattamente il valore del contratto aziendale oggi in Italia. Non tanto il valore in termini di soldi, ma il suo valore reale, la sua esigibilità, come si dice in "sindacalese". Ce lo spiega Francesco Brigati, attivista sindacale della Fiom all'Ilva di Taranto. Francesco nel mese di aprile ha visto morire un suo compagno di lavoro. Era un operaio delle ditte esterne, che sciamano a decine nel grande stabilimento siderurgico di Taranto. L'Ilva è uno degli stabilimenti dove gli incidenti, mortali e non, sono piuttosto frequenti. Dopo quell'ennesimo episodio, la rabbia dei lavoratori si espresse attraverso uno sciopero immediato. L'Ilva, per tutta risposta, non ha corrisposto il premio di risultato a chi ha "osato" scioperare.

Vuoi esporre tu i fatti per favore.
Un incidente mortale accaduto il 22 aprile scorso ha coinvolto un lavoratore di una ditta in subappalto. E' caduto da un'altezza di diciassette metri dopo le otto ore di orario normale di lavoro. Una circostanza che si verifica spesso questa. I carichi di lavoro che prendono le ditte in genere non hanno alcuna relazione con gli organici delle ditte stesse. I lavoratori poi sono spesso tenuti con contratti atipici e quindi aumenta la ricattabilità del singolo nei confronti della piccola azienda, che mira ad avere l'appalto al ribasso. E' così che i subappalti prolificano. Per il 23 e il 24 aprile le i tre sindacati di categoria Fim, Fiom e Uilm proclamano lo sciopero. Secondo quanto previsto dal contratto integrativo del 1989, però, bisogna rispettare i tempi di raffreddamento della vertenza. E quindi quello sciopero non è regolare.

A quel punto che accade?
L'azienda nella mensilità di settembre ha deciso di decurtare il premio di risultato di aprile, e quindi ci sono stati tolti all'incirca 150 euro. L'azienda si è giustificata dicendo che avevano attuato semplicemente i dettami del contratto integrativo. I sindacati non avrebbero rispettato il periodo di raffreddamento e quindi l'azienda, come prevedono le norme del contratto integrativo, ha pensato bene di togliere il premio di risultato a quei lavoratori che hanno partecipato allo sciopero. Un chiaro messaggio politico: chi sciopera contro gli incidenti mortali sul lavoro non è un buon dipendente. Un messaggio politico che ha maggiore rilevanza considerando che in Ilva ci sono tassi di infortuni mortali e di incidenti molto alti.

E' un regola assurda. Ma chi l'ha scritta? Non potevano essere esclusi gli scioperi spontanei?
Noi sosteniamo ovviamente che davanti alla morte di un lavoratore non è possibile rispettare i tempi di raffreddamento. Non è un evento che si può programmare. Si tratta di una circostanza di fronte alla quale la reazione dei lavoratori è stata netta e precisa. Quello sciopero non si poteva rimandare. Le adesioni tra le ditte sono state molto alte. E anche all'Ilva c'è stata una buona risposta. Patron Riva vuole cancellare definitivamente il senso di solidarietà e di rispetto tra i lavoratori indispensabile per reggere l'urto del ricatto padronale.

E veniamo al contratto aziendale
Nel 2007 l'Ilva ha registrato un altro anno di record con circa 878 milioni di utili. Anno che si va ad aggiungere agli altri sempre più o meno dello stesso livello. Intorno ai 600 nel 2006. Riva deve molto ai lavoratori che in questi anni hanno fatto aumentare il livello di produttività e del fatturato senza ricevere nulla in cambio. Anzi, vedendo peggiorare le loro condizioni di lavoro. Chiediamo che sia restituito ai lavoratori il premio di risultato della mensilità di aprile.
Nella contrattazione integrativa è previsto che il 10% dei lavoratori può essere assunto con contratti non a tempo determinato. Il 9% deve essere tipicamente a contratto interinale. Un accordo che la Fiom non ha firmato. In questo caso ti ritrovi capiturno e capireparto che chiamano con l'interfono denominando chi deve effettuare la mansione con il tipo di contratto. Tutte le mansioni peggiori vengono affidate a loro. In questo inferno i lavoratori precari sono costretti a starci per almeno quattro anni.

Cosa ne pensi del contratto nazionale?
La contrattazione nazionale che vogliono smantellare è la sola garanzia che l'attuale baratro che esite tra salari e profitti (un lavoratore all'Ilva non supera i 1.200 euro) venga colmato. Come dimostrato più volte, il salario aziendale è solo una ipotesi sottoposta ai continui ricatti dell'azienda. Pur essendoci parametri di riferimento alla fine i soldi dell'integrativo o non arrivano o ne arrivano molti meno di quanti se ne prevedono. Voglio aggiungere che il 14 si apre il tavolo della trattativa. La richiesta è di circa 300 euro. Richiesta composta con più voci. Sarà una vertenza piuttosto onerosa. Lo scontro sarà sulla remunerazione dei tempi morti. Il sindacato chiede 5 euro l'ora, ma l'azienda è già pronta a fare resistenza.

Sulla vicenda dello sciopero sanzionato si è pronunciato anche il Prc.
Come Rifondazione comunista siamo intervenuti attraverso comunicati stampa e volantinaggi. Abbiamo denunciato il metodo ricattatorio e intimidatorio usato dall'azienda. E abbiamo chiesto l'intervento delle istituzioni. E' in ballo il confronto con la Regione sul'autorizzazzione integrata ambientale. Chiediamo a Regione, Comune e Provincia di prendere la distanze da Riva se non restituisce i 150 euro.

L'inchiesta della Fiom parla della fatica nelle fabbriche, soprattutto nel settore siderurgico.
Gli operai metalmeccanici al confronto con gli altri lavoratori sono quelli che faticano di più. Su questo non ci sono dubbi. Penso che anche il fallimento della Sinistra Arcobaleno deriva anche dalla mancata abolizione dello scalone, in particolare per i lavori usuranti. Impensabile per un lavoratore stare più di 30 anni in quello stabilimento soprattutto in uno stabilimento dove ci sono sostanze altamente inquinanti che usurano oltre la stessa fatica. Taranto è la città con il più alto tasso di tumori.

Postato da: Vito

22 ottobre 2008

A 13 anni ha il tumore da fumo. «E' la diossina»


Carlo Vulpio - Corriere della Sera, 21/10/2008

La storia. Le nuove cifre dell'Ines: qui si produce il 92% del «veleno» italiano. Gli ambientalisti contro l'Ilva che si difende: siamo in regola
Il medico: mai visto un caso così. Industrie, Taranto città più inquinata dell'Europa occidentale.
Tre mamme con il latte contaminato, cinque adulti con il livello più alto del mondo, 1.200 pecore da abbattere

TARANTO — Tre anni fa, S. aveva 10 anni. E senza aver mai fumato una sigaretta in vita sua era già conciato come un fumatore incallito. Un caso simile, Patrizio Mazza, primario di ematologia all'ospedale «Moscati» di Taranto, non l'aveva mai visto. E nemmeno la letteratura medica internazionale lo contempla. Anche a cercare su Internet, la risposta è negativa: « No items found ». Per questo, Mazza temeva di avere sbagliato diagnosi. Invece no. Quel bimbo aveva proprio un cancro da fumatore: adenocarcinoma del rinofaringe. Come tanti altri tarantini, specie quelli del Tamburi, «il quartiere dei morti viventi».
A Bruxelles forse ancora non lo sanno, ma Taranto è la città più inquinata d'Italia e dell'Europa occidentale per i veleni delle industrie. L'inquinamento di Taranto, infatti, è di fonte civile solo per il 7%. Tutto il resto, il 93%, è di origine industriale. A Taranto, ognuno dei duecentomila abitanti, ogni anno, respira 2,7 tonnellate di ossido di carbonio e 57,7 tonnellate di anidride carbonica. Gli ultimi dati stimati dall'Ines (Inventario nazionale delle emissioni e loro sorgenti) sono spietati. Taranto è come la cinese Linfen, chiamata «Toxic Linfen», e la romena Copša Miça, le più inquinate del mondo per le emissioni industriali.
Ma a Taranto c'è qualcosa di più subdolo. A Taranto c'è la diossina. Qui si produce il 92% della diossina italiana e l'8,8% di quella europea. «In dieci anni — dice Mazza — leucemie, mielomi e linfomi sono aumentati del 30-40%. La diossina danneggia il Dna e un caso come quello di S. è un codice rosso sicuramente collegato alla presenza di diossina. Se nei genitori c'è un danno genotossico non è in loro che quel danno emerge, ma nei figli».
Tre mamme il cui latte risulta contaminato dalla diossina, cinque adulti che scoprono di avere il livello di contaminazione da diossina più alto del mondo, 1.200 pecore e capre di cui la Regione Puglia ordina l'abbattimento, forti sospetti di contaminazione nel raggio di 10 chilometri dal polo industriale (con i monitoraggi sospesi perché sempre «positivi ») sono, più che un allarme, una emergenza nazionale. La diossina si accumula nel tempo e a Taranto ce n'è per 9 chili, il triplo di Seveso (la città contaminata nel 1976). Ma sono sette le sostanze cancerogene e teratogene che, con la diossina, colpiscono Taranto come sette piaghe bibliche.
Mentre però a Bruxelles e a Roma (e a Bari, sede della Regione) si discute, Taranto viene espugnata dalla diossina. Basta dare un'occhiata, oltre che ai dati Ines, ai limiti di emissione, il cuore del problema. Il limite europeo è di 0,4 nanogrammi per metro cubo. Quello italiano, di 100 nanogrammi. «Un vestito su misura per l'Ilva di Emilio Riva», dicono le associazioni ambientaliste. «Siamo in regola e abbiamo anche investito 450 milioni di euro per migliorare gli impianti», replica l'Ilva, che l'anno scorso ha realizzato utili per 878 milioni, 182 milioni in più dell'anno prima e il doppio del 2005.
L'Europa però è dal 1996 che ha fissato il limite di 0,4 nanogrammi. L'Inghilterra, per esempio, si è adeguata. E la Germania ha fatto ancora meglio: 0,1 nanogrammi, lo stesso limite previsto per gli inceneritori.
Nel 2006, Ilva e Regione Puglia hanno anche firmato un protocollo d'intesa, ma con scarsi risultati. La «campagna di ambientalizzazione» procede a rilento e sembra che l'Ilva intenda concluderla nel 2014, proprio quando scadrà il Protocollo di Aarhus, recepito anche dall'Italia, che impone ai Paesi membri di adottare le migliori tecnologie per portare le emissioni a 0,4-0,2 nanogrammi.
Eppure a Servola, Trieste, acciaierie «Lucchini», per risolvere il problema è bastato un decreto del dirigente regionale Ambiente e Lavori pubblici, che ha imposto al siderurgico, pena la chiusura, di rispettare i limiti europei. In due anni, grazie anche alle pressioni della confinante Austria, il miracolo: dalla maglia nera, in tandem con Taranto, Servola è diventata un centro di eccellenza, con la diossina abbattuta fino al teutonico limite di 0,1 nanogrammi.
Certo, con una legge regionale, o con un decreto come quello friulano, si eviterebbe anche il referendum sull'Ilva, giudicato ammissibile dal Tar di Lecce e sicura fonte di drammatiche spaccature fra i 13 mila dipendenti del siderurgico.
Invece c'è soltanto una delibera del consiglio comunale di Taranto che chiede timidamente alla Regione «di fare come in Friuli».
Ma la Puglia non confina con l'Austria. Al di là del mare, c'è l'Albania.

Postato da: Vito

19 ottobre 2008

Domande alle sinistre


Rossana Rossanda - il manifesto, 11/10/2008
Non credo che una sinistra possa dirsi esistente se di fronte alla più grossa crisi del capitalismo dal 1929 non sa che cosa proporre. Questi erano i lumi che la cittadina sprovveduta chiedeva di avere dai leader delle sinistre e dell'opposizione e dagli amici economisti, ma non ne ha avuti. Stando così le cose, mi azzardo ad avanzare alcune osservazioni e proposte elementari che, se sono infondate, spero vengano vigorosamente contraddette.
Prima osservazione. Perché le sinistre non si chiedono la ragione per cui non solo le destre thatcheriana e reaganiana ma anch'esse si sono e restano persuase che non c'è altra via economica da percorrere che non sia la privatizzazione (spesso liquidazione) di tutti i beni pubblici e di gran parte dei servizi, quelli di interesse sociale inclusi? E perché era giusto incitarli alla concorrenza dentro e fuori i confini nazionali ed europei? La destra ha detto che i privati li avrebbero gestiti meglio e che le tariffe si sarebbero abbassate, ma questo non è successo affatto e in nessun luogo.
Seconda osservazione. Perché le sinistre hanno accettato, talvolta mollemente opponendosi, la detassazione delle imprese, delle successioni e delle grandi fortune, togliendo entrate allo stato, nella previsione che i capitali, rimpinguati, sarebbero stati investiti nella produzione? Non è stato affatto così, la produzione non è mai stata così bassa, fino all'orlo - per esempio in Francia - della recessione.
Terza osservazione. Perché le sinistre, che fino a ieri rappresentano il lavoro dipendente, hanno accettato che per facilitare la crescita si dovessero abbassare, rispetto al passato, i salari mentre lo Stato doveva restringere nella spesa sociale quel tanto che c'era di salario indiretto (vedi, in Italia, finanziaria e protocollo sul welfare dell'anno scorso)? Con l'ovvia conseguenza di una caduta generale del potere di acquisto in tutti i ceti dipendenti?
Stando così le cose non occorrono grandi discussioni filosofiche sulla crisi della politica.
Quarta osservazione. Non so se dovunque, ma è certo che in Italia questa strada ha condotto non solo a una produzione bassa ma non puntata sull'innovazione di prodotto, bensì al basso costo del lavoro, in questo dando la testa al muro, o cercando le condizioni per delocalizzare, perché sia nell'Est del nostro continente sia fuori di esso i salari sono ancora più bassi che da noi.
Quinta osservazione. Perché le sinistre e le loro stesse teste d'uovo non si sono accorte che i capitali, invece che in produzione se ne andavano sia in modo legale sia in modo fraudolento, nella speculazione finanziaria, dandosi a tali demenze che stanno sbaraccando l'intero sistema?
Ultima osservazione. Perché le sinistre non sanno dire altro, a mezza bocca o con grandi sorrisi, che i buchi formati dalle banche, dalle assicurazioni e dagli hedge fund, mandati a picco per demenza dei loro dirigenti, vengano sanati col denaro pubblico, cioè quello dei contribuenti, senza chiedere nessuna proprietà pubblica effettiva in cambio?
Suppongo la risposta: non si può reimmaginare un intervento pubblico perché si sa che lo stato gestisce malissimo. Già. Perché, il privato gestisce bene? Nell'epoca dei «trenta gloriosi», cioè della partecipazione pubblica e statale, nessuno di questi immensi guasti si è verificato. Dunque in nome di che cosa, che non sia il pregiudizio, non viene oggi riproposta una politica di intervento pubblico? Certo esso implica darsi non solo una linea economica ma un metodo di gestione pubblica pulito, fatto di diritti chiari invece che ottativi. Perché è vero che questo è mancato dando luogo a quelli che sono stati chiamati boiardi di stato e a clientelismi di vario tipo. Un intervento pubblico non sarebbe il socialismo, come qualche ignorantissimo afferma, ma darebbe luogo a una forma di contrattazione partecipata fra cittadini e istituzioni assai diversa dall'attuale riduzione della democrazia a fiera quinquennale del voto. Chi ci impedisce di metterci a ripensarlo? Nessuno. Chi lo propone? Nessuno. Salvo qualche isolato pensatore americano come Krugman con la riproposizione di un new deal. Chi dirige la musica in Italia è ancora Berlusconi, con la sua speranza che la «scarsa» modernizzazione delle banche italiane ci salvi dal terremoto.
Con maggior ragione si può obiettare che una politica di intervento pubblico non si fa da soli, tantomeno in tempi di globalizzazione e dopo che lo stato nazionale si è consegnato mani e piedi alla Costituzione europea che, sotto il profilo politico, è flebile, come si è visto nel caso dei rom e, sotto quello economico, è superliberista.
Da parte mia, obietto che lo spazio europeo può essere invece una carta da giocare, per la sua dimensione e la sua moneta unica; vi si potrebbero mettere in atto i processi macroeconomici che oggi un intervento pubblico comporterebbe.
Che cosa impedisce che una sinistra possa e debba muoversi su questo terreno su scala continentale? Non penso che mancherebbero le resistenze, e potenti. Ma questo è il momento per aprire il conflitto con qualche possibilità di vincere. I lavoratori europei non sarebbero con noi, invece che darsi alla disperazione o consegnarsi alla Lega o al primo Haider che passa perché gli salvi protezionisticamente l'azienda? La verità è che si tratta di una scelta non «economica», ma «politica».
Ecco quanto. Naturalmente sono pronta a riflettere su tutte le critiche demolitrici che mi si vorranno inviare.

Postato da: Vito

17 ottobre 2008

Comunicato stampa - Federazione di Taranto PRC


Più di mille persone hanno partecipato al corteo organizzato da Rifondazione Comunista e dal comitato dei precari e disoccupati dei Tamburi ieri pomeriggio (giovedì 16 ottobre) al quartiere Tamburi, per affermare la necessità non più prorogabile di mettere in campo politiche capaci di coniugare ambiente e lavoro.
Il corteo, cui hanno aderito i Cobas, Sinistra Critica, il comitato di quartiere Città Vecchia, ha preso le mosse dall’area dell’ex-mercato ortofrutticolo (altro luogo simbolo del degrado) per poi percorrere le principali vie del quartiere che sorge proprio a ridosso dello stabilimento siderurgico più grande d’Europa per confluire poi tutti in piazza “Gesù Divin Lavoratore”.
"Sono rimasta impressionata –spiega la responsabile nazionale Roberta Fantozzi- dalla vicinanza di queste case alla zona industriale, con questa polvere rossa che invade letteralmente le vie cittadine. Credo sia molto importante portare la protesta tra queste strade; un evento che non si verificava da tempo. Naturalmente –ha continuato la Fantozzi- si tratta solo di un primo passo, perché ora bisognerà dare continuità alla protesta sfociata in questa manifestazione".
In conclusione: "a partire da questa manifestazione, insieme alle altre forme di sciopero indette dai sindacati di base, abbiamo intrapreso la strada della necessaria ripresa del conflitto. E sono tutti segnali incoraggianti".
Il segretario del circolo Pajetta dei Tamburi Giuseppe Miceli ha sottolineato il successo dell’iniziativa ed ha preannunciato un pacchetto di proposte, elaborato insieme al comitato precari e disoccupati da sottoporre in tempi brevi agli organi politici/istituzionali e alle parti sociali, in cui vengono individuati percorsi ed iniziative per combattere la disoccupazione e l’inquinamento nel quartiere.
Per il segretario provinciale del partito Franco Gentile "l’iniziativa di ieri è la dimostrazione più evidente che il fuoco cova sotto la cenere e che il protagonismo delle masse è il miglior antidoto all’idea dell’uomo salvatore del mondo che tanti danni ha prodotto e sta producendo". Inoltre il segretario ha ricordato la vicenda allucinante dell’esproprio fatto dall’Ilva nelle buste paga di quei lavoratori che scioperarono per la morte di un operaio albanese, la dimostrazione più evidente dell’arroganza padronale.
In chiusura lo stesso segretario ha sottolineato come lo Stato e l’Unione Europea, per salvare le banche ed il loro sistema truffaldino, hanno messo repentinamente mano al portafoglio mentre non escono un solo euro per affrontare vertenze importanti come la lotta alla disoccupazione, alla precarietà ed al carovita.



Federazione PRC Taranto

16 ottobre 2008

Dieci consigli per uscire dalla crisi

Johan Galtung - il Manifesto, 03/10/2008 - traduzione Marina Impallomeni

Che cinismo parlare di «crisi» come di un fenomeno di un mese, o un anno o due, quando ogni giorno circa 125mila persone muoiono per fame indotta dal sistema o per malattie curabili/prevenibili! Gran parte della responsabilità risiede in un economismo che privilegia il sistema delle transazioni rispetto ai bisogni fondamentali delle persone. Il capitalismo è esattamente questo.

E tuttavia, c'è una crisi sopra la crisi permanente. Con una compressione del credito in un'economia finanziaria malata le transazioni soffrono, e soffrono anche gli attori, ancor più di prima. Com'è possibile? Il capitalismo è un sistema che pompa ricchezza dai poveri su fino ai ricchi con una ricaduta minuscola, se non ci sono contromisure.

In termini economici: un deficit di potere d'acquisto - fatta eccezione per il prestito e le carte di credito in basso e un eccesso di liquidità in alto. Al punto che solo una frazione può essere usata per i consumi. Ma l'investimento a lungo termine in imprese produttive, in una economia reale stagnante, è limitato. Perciò l'«investimento» si trasforma in speculazione a breve termine nell'economia finanziaria e la bolla cresce.

Qualunque economia reale produce prodotti per i consumi. Ma le serve anche una economia finanziaria che produca prodotti, come i prestiti, per poter acquistare e vendere. Le due devono sincronizzarsi; se ciò non accade è crisi. Ma c'è una novità. Con una economia reale stagnante e un eccesso di liquidità, la differenziazione dei prodotti finanziari era prevedibile. Da qui «leva», «hedge funds», «futures», «options»,«derivati» ecc., laddove prima avevamo azioni e obbligazioni, prestiti e interesse. E anche qualcosa in più. Così, prima di crollare, la Bear and Stearns ha informato i propri clienti che uno dei suoi prodotti finanziari non valeva (quasi) niente. C'è una via d'uscita? Naturalmente, ma non è il piano di salvataggio con i 700 miliardi di dollari prelevati dai poveri contribuenti e dati alle banche e ai super-ricchi. Questo è il solito capitalismo, e non funzionerà. Data una massiccia stampa di valuta, si regalano soldi cattivi ai soldi cattivi; in secondo luogo, si premia una enorme incompetenza che sfiora la truffa; e terzo, si riduce ulteriormente il potere d'acquisto per la maggior parte degli americani, rendendo la crescita economica reale ancora più sfuggente. Si considerino invece questi dieci punti, che funzionerebbero:

1. Un keynesismo massiccio: finanziamenti massicci per migliorare l'infrastruttura Usa in sfacelo, creando milioni di posti di lavoro, compresa la costruzione di scuole e policlinici. Più potere d'acquisto in basso.

2. Una redistribuzione massiccia: spingere in alto la tassazione; tassazione progressiva e sul lusso. E riduzione della pressione tributaria per il 70% che sta in basso, con sussidi per la casa e la salute.

3. Far intervenire il governo sui mutui abitativi contratti tra l'inizio della bolla e il suo scoppio, sollevando il debitore di questo fardello e aiutando contestualmente anche le banche.

4. Fermare tutti i pignoramenti, trovare una soluzione equa per tutti.

5. Finanziare questi interventi tagliando le spese eccessive del Pentagono per l'Impero Americano (Ron Paul), come le spese per le basi militari.

6. Lasciare che le peggiori banche/istituzioni finanziarie affondino, le più avide con la minore copertura per le loro transazioni e il rapporto più alto tra gli stipendi e i benefit dei manager, e quelli degli altri dipendenti.

7. Dichiarare illegale la maggior parte dei nuovi prodotti finanziari, a meno che non ci sia una garanzia verificata che l'aquirente e il venditore sono pienamente consapevoli del loro funzionamento e delle loro conseguenze.

8. Rendere merito alle banche che tengono rapporti diretti con i clienti, che annunciano chiaramente che i prestiti resteranno congrui rispetto a noi e alla nostra fideiussione.

9. Rendere pubblico l'M2 per rendere il sistema economico Usa più trasparente.

10. Un massiccio deprezzamento del dollaro per un nuovo dollaro che tagli il peso del servizio del debito, per fare in modo che i prodotti Usa rimanenti siano più competitivi, e per evitare una inflazione massiccia.
(www.transcend.org)

13 ottobre 2008

Noi siamo qui


Trecentomila persone trasformano l'11 ottobre nella giornata del
rilancio della sinistra
Un corteo grandissimo e molto rosso, con diverse componenti ma unito da un'idea: ci siamo e da qui ricomincia l'opposizione

Piero Sansonetti - Liberazione, 12/10/2008
Un bel sospiro di sollievo. E' stata una manifestazione grandissima. Molto più grande di quanto ci aspettavamo. Diciamo trecentomila persone, almeno due ore di corteo. Dopo la giornata di venerdì, con altrettanti studenti in piazza in decine di città italiane, ora abbiamo la certezza che l'opposizione non è morta, la protesta non è morta, la sinistra esiste ancora. Paolo Ferrero nei giorni scorsi ha adoperato questa espressione: «E' finita la ritirata». Vuol dire che si ricomincia, si torna all'attacco, si torna a far politica.
Qual è l'urgenza, qual è l'obiettivo? Quello di ricominciare a svolgere un ruolo di trasformazione, quello di impedire che il dilagare del berlusconismo porti alla fine del pensiero politico, alla fine del pluralismo, al dominio incontrastato di una classe dirigente che la destra è riuscita a ristrutturare e a ricompattare. E' una battaglia dura, complicata. Si tratta di rispondere a molte domande. Alcune delle quali venivano poste proprio ieri da Rossana Rossanda nell'editoriale de il manifesto , e fondamentalmente sono riducibili a una sola: riuscirà la sinistra a non restare muta - o tutt'al più sorridente, ma priva di iniziativa - di fronte alla più formidabile crisi economico-politica e di sistema che il capitalismo abbia mai incontrato dal 1929 ad oggi?
Non si può naturalmente chiedere a un corteo, o a una manifestazione di piazza, di elaborare una nuova politica. Però nessuna politica è possibile se non si tiene su delle gambe «di popolo», su una spinta di massa. Questa spinta ieri c'era. C'era in un corteo che in alcune fasi sembrava persino un po' imbarazzato, un po' incerto su stesso. Stupito di essere così grande dopo mesi di sconfitte terrificanti, a partire dalla frana elettorale, e stupito persino di essere unito, compatto, dopo un lungo periodo di lotte interne e lacerazioni.
Ma davvero il corteo era unito? Naturalmente aveva molte anime al suo interno. La più forte, la più visibile, era l'anima che chiede una identità sicura alla sinistra, l'anima fortemente «comunista». Però c'erano anche gli altri, molti altri, che invece credono che non si deve partire dalla propria identità, dal proprio passato, ma da una idea di futuro da mettere insieme e mettere a frutto. L'impressione ieri è stata che queste due anime ancora si scrutano con diffidenza, ma cominciano a pensare di poter lavorare insieme.

9 ottobre 2008

Manifestazione Nazionale - Roma, 11 ottobre



Il percorso della manifestazione (GoogleMaps)

Ecco il percorso della manifestazione:
P.zza della Repubblica
Via Terme Diocleziano
Via Giovanni Amendola
Via Cavour
Via dei Fori Imperiali
Piazza del Colosseo
Via Celio Vibenna
Via san Gregorio
Piazza Porta Capena
Via dei Cerchi
Piazza della Bocca della Verità

Fonte: http://www.11ottobreinpiazza.org/

8 ottobre 2008

No all'accordo con la Confindustria

Con la riforma sul sistema contrattuale, Confindustria vuole:

- tagliare i salari. La trattativa ruota intorno all’allungamento della durata dei contratti nazionali a tre anni e a una programmazione dell’inflazione ampiamente al di sotto di quella reale: con una inflazione reale al 6% (che per i beni di largo consumo –pane, pasta, benzina etc. etc. raggiunge il 30%) e una ufficiale al 4% (dati ISTAT), Confindustria propone un adeguamento dei salari su un tasso tra il 2 e il 3%. In questo modo, invece che tutelare il potere d’acquisto si programma la riduzione dei salari;

- smantellare il contratto nazionale e peggiorare le condizioni di lavoro nel nome del salario-produttività. Il modello che propone Confindustria è quello in cui per guadagnare di più devi lavorare di più, ma le condizioni di lavoro nell’industria e nel mercato del lavoro italiano sono già le più pesanti d’Europa. Le lavoratrici e i lavoratori italiani lavorano già troppo e troppo male.

E’ fondamentale un modello contrattuale universale; senza modello unico prenderebbe piede anche il FEDERALISMO contrattuale e l’abbandono dei diritti nazionali e quindi l’avvio delle “famigerate gabbie salariali” (un ennesimo regalo a Bossi contro le lavoratrice ed i lavoratori del SUD) .

A questo si aggiunge il gravissimo attacco ai diritti di tutto il mondo del lavoro che il Governo sta portando avanti, a cominciare dallo smantellamento della scuola pubblica e dall’attacco ai diritti e ai salari delle lavoratrici e dei lavoratori privati, con l’ulteriore precarizzazione del lavoro, e dei diritti di quelli del pubblico impiego.

Bisogna rompere la trattativa con Confindustria e iniziare una vera mobilitazione, per il salario e per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori e dei pensionati.

Anche per questo l’11 ottobre tutte/i a Roma


Federazione del Partito della Rifondazione Comunista della Provincia di Taranto

4 ottobre 2008

No alla Repubblica delle Banane: IL VOTO È UGUALE PER TUTTI

Domenica 5 ottobre, dalle ore 11, il nostro partito sarà impegnato a volantinare a Taranto in via D'Aquino. Per l'occasione verranno allestiti dei tavolini per la raccolta firme contro la "controriforma scolastica" Gelmini.
Di seguito riportiamo il testo del volantino:


NO ALLA REPUBBLICA DELLE BANANE: IL VOTO È UGUALE PER TUTTI

Berlusconi vuole cambiare la legge elettorale per il Parlamento Europeo. Vuole mettere una soglia di sbarramento al 5% e soprattutto vuole abolire le preferenze.

In questo modo si vogliono raggiungere
due obbiettivi. Impedire ai cittadini di scegliere chi li dovrà rappresentare e cercare di escludere Rifondazione Comunista e la sinistra dal Parlamento Europeo.

Non c’è nessuna altra giustificazione possibile. Non esiste un problema di “governabilità” poiché, a Strasburgo, non si eleggono governi, né di proliferazione di gruppi parlamentari, poiché in Europa i gruppi sono sette e tali rimarranno a prescindere dalla legge elettorale in vigore in Italia.

La verità che
Berlusconi vuole concentrare tutte le decisioni nelle sue mani impedendo ai cittadini di esprimere la preferenza e vuole escludere dalle istituzioni europee la voce di chi si batte contro l’Europa delle oligarchie economiche e finanziarie, per un’altra Europa: quella dei popoli, dei diritti del lavoro, dell’ambiente, della pace.

Va sconfitto questo ulteriore attacco alla democrazia. Va sconfitta la scelta di costruire una oligarchia che decide tutto mentre i cittadini non possono più decidere niente. Chiediamo a tutti coloro che hanno a cuore la democrazia di fare sentire la propria voce. Chiediamo ai partiti dell’opposizione parlamentare di fare ostruzionismo contro questa scelta sciagurata.

Anche per questo l’11 ottobre tutte/i a Roma

Federazione del Partito della Rifondazione Comunista della Provincia di Taranto

3 ottobre 2008

Nichi non ha spazi per questo insulta. Vogliono unire intanto dividono.

il manifesto - 28 Settembre 2008
di Andrea Fabozzi

Paolo Ferrero, a due mesi dal congresso sei ancora Il segretario solo di mezza Rifondazione?
No. Non mi sembra. In due mesi abbiamo cominciato a rimettere in moto il partito. Sia per la ricostruzione dell’opposizione anche con la manifestazione unitaria dell’11 ottobre sia con un lavoro sui territori. Non dico che vada tutto bene ma non siamo più fermi come da aprile ad agosto e abbiamo dato al partito gli organismi dirigenti in grado di farlo funzionare, ci sono dentro anche i compagni della minoranza.

Che però con Nichi Vendola ti dicono che abbai alla luna e che sei tu il vero scissionista.
Effettivamente non va tutto bene. Da me non avranno una replica allo stesso livello. Applico il disarmo unilaterale e trovo questi toni pesanti il segno di una mancanza di stile. La verità è che questi compagni falsificano la realtà di Rifondazione. E lo fanno scientemente, con una logica. Parlano di un Prc chiuso, iperidentitario, che lavora alla costituente dei comunisti e che sta insieme ai tifosi della Corea del Nord, tutte cose false, perché così sperano di aprirsi artificialmente uno spazio politico che non c’è. E più si accorgono che non c’è più alzano il livello degli insulti.

Vendola annuncia un «tesseramento aperto per l’associazione che riunisce la minoranza di Rifondazione. E’ un problema per le vostre regole interne?
Di tesseramento e di moltiplicazione delle frazioni si muore, ma non intendo affrontare il fatto che metà partito si fa un’altra tessera come un problema disciplinare. La contraddizione è di chi dice che vuole unire e intanto si fa un’altra organizzazione. Una mossa che è pienamente dentro la crisi della sinistra e non nella sua soluzione.

La minoranza però ha il monopolio dell’interlocuzione con il resto della sinistra. Glielo state lasciando volentieri?
Distinguiamo. Io mantengo forte l’interlocuzione con tutta la sinistra per la costruzione dell’opposizione e per un lavoro politico e culturale contro il berlusconismo e Confindustria. Tanto è vero che per l’11ottobre abbiamo messo insieme uno schieramento che non è mai stato così vasto - più largo della ex sinistra arcobaleno, più largo anche della manifestazione del 20 ottobre dell’anno scorso. Ma è chiaro che io per la costruzione di un nuovo partito non ho nessuna interlocuzione con Mussi piuttosto che con Francescato.

Con Diliberto Invece?
Neanche con Diliberto. O con Ferrando. Lavoriamo per rilanciare Rifondazione dentro la costruzione dell’opposizione, come deciso al congresso. Invece l’unica proposta che vedo dai compagni della minoranza è costruire un’altra aggregazione. Di cui si capisce solo che non sarà comunista e sarà più moderata di quanto il Prc è sempre stato. Lo dimostrano anche i dubbi francamente inspiegabili sull’11 ottobre e la decisione di restare a tutti i costi nella giunta calabrese.

Dunque tu dici no alla costituente di sinistra e «ni» alla costituente comunista?
Dico ugualmente no alla costituente comunista. Sono entrambe banalizzazioni. Proposte frutto di un politicismo pazzesco con il quale non si va da nessuna parte.

Claudio Grassi tuo alleato essenziale sta invitando Dillberto a tornare Insieme.
Stiamo al documento congressuale, di quello sono garante e per quello sono segretario. La maggioranza del Prc non ha altra base politica, e lì non si parla di costituente comunista. Le mozioni con cui siamo andati al congresso non ci sono più . Poi è chiaro che ogni compagno ha le sue preferenze e le sue tendenze culturali, ce ne sono di diverse anche nella minoranza. Però basta parlare delle formule aggregative come se potessero risolvere i nostri problemi. Lo lascio fare ai compagni della minoranza, tutti concentrati sulle relazioni del sistema politico nazionale. Il compito mio è portare il partito in basso sui territori e nel sociale e in alto nel contrasto al berlusconismo non subalterno al Pd.

Le elezioni europee con la prevedibile soglia dl sbarramento però vi costringeranno presto a tornare alle formule aggregative. Dovrete recuperare l’arcobaleno?
Problema giusto ma è il momento sbagliato di porselo. Intanto perché se non ritroviamo l’utilità sociale della sinistra restiamo quelli del 3,2% dunque fuori comunque. E poi perché dobbiamo contrastare la legge elettorale con lo sbarramento. Discutere adesso di alleanze sarebbe demenza politicista. Parliamone a febbraio.

Rapporto con il Pd. A Roma dici che non ci sono le condizioni per un’intesa. Ma nelle amministrazioni, il famoso territorio, le cose cambiano. E cercate persino dl tenere l’alleanza con Penati alla provincia di Milano.
Mi sembra ridicolo essere criticato anche da sinistra oltre che da destra. Non è così. Per la provincia di Milano abbiamo chiesto delle risposte positive chiare e visibili, vediamo se ce le daranno. Per il resto siamo usciti a Campobasso, sarei uscito volentieri in Calabria. Ma il problema non è mai stato rompere ovunque, quanto valutare in autonomia. Farsi cacciare in un angolo è peggio di rompere.

Liberazione: siete senza parlamentari e molto fuori dal giochi, sembrerebbe il momento di puntare sul giornale di partito e non di annunciare, come hai fatto, «una ristrutturazione molto pesante».
Faremo tutto il possibile per rilanciare Liberazione. Ma per farlo è necessario aumentare le vendite e diminuire i costi. Il buco potrebbe essere di oltre 4 milioni, questi soldi io non saprei dove andarli a prendere. Appunto, siamo fuori dal parlamento: un debito del genere non è compatibile con l’esistenza stessa del partito, prima ancora che con le sue scelte.

Hai detto «chi ha gestito Il giornale sin qui non è compatibile con Il rilancio», un avviso di licenziamento al direttore?
La crisi che si è andata via via aggravando va gestita su tutti i piani. E’ evidente che ci vuole un nuovo progetto editoriale.


http://www.paoloferrero.it/?p=906

postato da : Gabriele

1 ottobre 2008

Le parole pulite dei nostri perchè

da www.nichivendola.it

La destra sembra occupare l’intera scena del simbolico, governa proiettando a ritmo continuo il film della propria ideologia. Con una spasmodica attenzione agli strumenti della comunicazione e alla formazione del senso comune, la destra esibisce una spregiudicata padronanza della “realtà percepita” con cui divora e mistifica la “realtà reale”.Il suo programma politico è semplice: “rovesciare il ‘68″, e cioè sterilizzare, ben dentro le viscere della società italiana, tutte le culture critiche che ne hanno innervato e qualificato il tessuto civile e democratico; riscoprire il fascino delle gerarchie sociali e rilegittimare le forme, sia pure moderne e persino post-moderne, di un sovrano legibus solutus, ovvero di un potere che assolutizzando il primato del sistema d’impresa usa la politica come una protesi del mercato, come il terminale chiassoso ma inerte delle scelte vincolanti delle grandi famiglie del capitalismo internazionale. La destra ha vinto. Nelle urne e nella politica. Ma prima ancora ha vinto nei cuori e nelle menti di una larga “opinione pubblica”, spaventata e disidentificata dai processi di globalizzazione, narcotizzata dalla Tv pubblico-privata del pensiero unico (quella che educa all’analfabetismo pornografico de “Il grande fratello”), plasmata dal desiderio violento di possedere come surrogato (in forma di merce) della vita e del suo senso. Capitalisti, anche se privi di qualsivoglia capitale. Quasi figli di un capitalismo antropologico, una vera educazione sentimentale al consumo e al primato dei “valori di scambio”.Questa è la ragnatela di significati inediti in cui gli individui restano impigliati. I legami sociali perdono valore, i cittadini ragionano come clienti, il mercato produce la società, io esisto perché possiedo (merci, forza, potere) e non perché parlo con te, tu sei non il dono della differenza ma la minaccia della diversità, se il mio reddito e la mia casa sono a rischio io avrò paura e cercherò il colpevole della mia paura, punirò il colpevole della mia paura. E se la mia paura è la povertà (perché crollano le grandi banche internazionali e soffiano sul mappamondo i venti della recessione) allora punirò tutti i poveri.Non c’è sinistra che non sia innanzitutto capacità di demistificare l’ideologia trionfante della destra. La destra è una formidabile fabbrica delle paure, nella quale si fabbrica un’egemonia culturale che rende necessario seppellire la precarietà del vivere e del lavorare sotto la polvere delle culture d’ordine, delle sollecitazioni securitarie, delle pulsioni disciplinari ed emergenziali.La sinistra non può presentarsi come un esorcista dei fantasmi della destra. Deve smetterla di vivere sull’altalena, scegliendo o la subalternità allo “stato delle cose” o la fuga spettacolare nella predicazione senza politica. Il minimalismo e il massimalismo talvolta si appalesano come due facce della stessa medaglia: la vocazione al suicidio. La soggezione ai totem delle proprie narrazioni (un riformismo edulcorato e debole oppure un radicalismo delle chiacchiere) offusca oggi l’intelligenza della sinistra. A fronte di un’Italia che sta saltando, di un Paese orfano di un condiviso racconto etico-politico, di una nazione polverizzata in lobbies e corporazioni, la sinistra appare una voce fuori campo.Noi pensiamo che sia urgente tornare in campo: non con la passività delle curve, ma con una invasione del campo delle idee, praticando conflitti, ritessendo fili di socialità, costruendo saperi. Tornando a nominare le cose, ripulendo le parole da tutte le lordure ideologiche e pubblicitarie con cui sono state manipolate, ecco curando: le parole malate con cui ha infettato le proprie ambizioni, le parole che l’hanno imbalsamata nel dogmatismo, quelle che l’hanno spenta nel trasformismo. Noi pensiamo che la sinistra debba subito riaprire i cantieri costituenti della propria rifondazione ideale e programmatica. La sinistra delle libertà deve rapidamente capire qual è la partita. E chiedere ad un popolo (non ad un apparato o ad una corrente) di prepararsi a giocare.
Nichi Vendola