27 agosto 2008

Un calcio ai sogni.

Quello che si temeva da più parti, è puntualmente accaduto.
Domenica 31 agosto (a meno che non ci siano novità dell' ultimissima ora) gli italiani che non hanno pagato il balzello allo psiconano (Mediaset Premium) o a Merdoch (ops Murdoch) propietario della piattaforma Sky non avranno diritto a guardarsi le immagini relative alla domenica pallonara.
Infatti l'accordo tra la Lega Calcio presieduta da Galliani (ma và) e le televisioni cosidette in chiaro non è stato raggiunto, e di conseguenza nessuna tivù in chiaro ha diritto di trasmissione nè delle immagini in diretta ( e va bene) e nè dei cosidetti "highlights", le immagini salienti, e nè e questa è la cosa più incredibile delle dirette via radio.
E' facile capire cosa voglia dire questo.
Cosi facendo sono stati tagliati fuori tutti gli appassionati che per un motivo o per un altro non dispongono nè di Sky e nè di Mediaset Premium, gli appasionati che la domenica sono in viaggio o al lavoro non potranno più seguire i colori tanto amati tramite radiolina o più semplicemente in nome del dio Danaro si è cancellato un diritto fondamentale per il giornalismo:
il diritto di Cronaca.
Purtroppo questa situazione non è nienta'altro che lo specchio della società attuale: qualsiasi cosa vuoi, qualsiasi cosa ti serve devi pagarla a caro prezzo. Sanità, scuola, le spiaggie ormai tutte in mano ai privati e ciliegina sulla torta anche il calcio, che qualche snob definisce maoisticamente l'oppio dei popoli, sono tutti entrati nel grande calderone del servizio "on demand" che sarebbe un modo più politically correct di dire che se le vuoi le devi pagare, chiunque tu sia.
Questa è l' Italia che sogna il Cavaliere, l' Italia dove meritocrazia significa non essere ma avere più degli altri, questa è l' Italia che ci tocca subire niente niente per altri 4 anni e 6 mesi (letta coì come una condanna).
Hanno svenduto i nostri corpi, le nostre coste, i nostri cervelli e adesso svendono o meglio non vendono anche i nostri sogni, perchè bramare per dei colori su di una maglietta significa sognare e i sogni come dice Marzullo aiutano a vivere meglio.
Norberto

26 agosto 2008

L'Italia docile che ha perso il dissenso


Nadia Urbinati - La Repubblica, 20/08/2008
Sarebbe utile interrogarsi sulla docilità, una qualità che ben rappresenta l´Italia di oggi.
Chi detiene il potere politico non è naturalmente amico del dissenso e di chi lo esercita, nemmeno quando al potere vi giunge per vie democratiche e la sua azione di governo è limitata da lacci costituzionali.
Grazie al liberalismo, che del potere ha una visione giustamente diffidente e pessimista, le società moderne sono riuscite a imbrigliare le tendenze tiranniche e dispotiche di governi e governanti e infine a eliminare l´uso della violenza dalla politica.
Diceva Tocqueville che il diritto e le costituzioni hanno reso la politica dolce perché hanno fatto posto al dissenso. I diritti che tutelano la nostra libertà individuale, non solo quella che ci consente di possedere cose materiali ma anche quella che ci rende sovrani sul nostro corpo e la nostra mente, sono un baluardo imprescindibile contro il potere, anche legittimo.
Per questa ragione, una società libera è l´opposto di una società docile. Ma le cose sono più complicate di come se le immagina la teoria.
Una società libera ha bisogno del dissenso. Anzi è desiderabile che la diversità di opinioni vi si manifesti e si esprima liberamente perché è grazie a questa diversità che il gioco politico può svolgersi e le maggioranze alternarsi.
Ma la cultura dei diritti può purtroppo stimolare anche una diversa attitudine: può indurre i cittadini ad abituarsi a perseguire il godimento dei loro diritti individuali disinteressandosi a quanto avviene nella sfera politica, salvo recarsi alle urne nei tempi stabiliti.
La società democratica può facilitare la formazione di una società docile perché indifferente alla partecipazione politica.
Lo può fare perché e fino a quando i diritti essenziali sono protetti per la grande maggioranza e non si danno quindi ragioni di dissenso. Sono le minoranze il vero problema (o, per l´opposto, la salvezza) delle società democratiche mature, perché sono loro a esprimere dissenso, a rivendicare spazi di azione che non sono in sintonia con quelli della maggioranza – se poi queste minoranze sono per giunta culturali e etniche, non semplicemente di opinione, allora decidere di non ascoltarle e perfino di reprimerle e perseguitarle può non essere visto dall´opinione generale come un problema di violazione di diritti.
La società docile non è una società che ha rinunciato ai diritti o che non è più liberale. È invece una società nella quale la maggioranza è soddisfatta del proprio grado di libertà e dei propri diritti e trova fastidioso che ci siano minoranze non domate, non silenziose e omologate, che facciano richieste che non collimano con le proprie (come nel caso di una minoranza religiosa che chiede che il diritto di culto sia rispettato anche quando il culto è diverso da quello della maggioranza).
Società democratica docile, dunque, e per questo autoritaria e paternalista.La docilità è una qualità che si predica degli animali non degli uomini; è un obiettivo che i domatori si prefiggono quando cercano di abituare un animale a fare meccanicamente determinate cose. Al moto della mano del padrone il cane sa quel che deve fare e lo fa.
Docilità significa non avere una diversa opinione di come pensare e che cosa fare rispetto all´opinione preponderante; significa accettare pacificamente quello che il padrone di turno, per esempio l´opinione generale di una più o meno larga maggioranza, crede, ritiene e vuole.
Sono ancora una volta i liberali che ci hanno fatto conoscere questo lato inquietante del potere moderno.
Un lato che si è mostrato quando il potere è riuscito ad avvalersi di strumenti nuovi; strumenti che si sono presto rivelati congeniali a un potere che si serve delle parole e delle opinioni per restare in sella, che può rinunciare alla violenza sui corpi perché si radica nell´anima dei suoi sudditi, se così si può dire.
Mentre gli antichi tiranni e monarchi assoluti usavano la tortura e le punizioni esemplari nelle pubbliche piazze, il moderno potere fondato sull´opinione non ha più bisogno di usare la violenza diretta (e se la usa, si guarda bene dal farlo in pubblico); usa invece una specie di addomesticamento che produce, come scriveva Mill, una forma di "passiva imbecillità". I cittadini docili assomigliano a una massa di spettatori: in silenzio ad ascoltare e, semmai, giudicare alla fine dello spettacolo con applausi o fischi.
La politica come spettacolo non assomiglia a un agone ma a una sala cinematografica. Il dissenso, la virtù forse più importante in una democrazia che si regge sull´opinione mediatica, è tacciato di generare destabilizzazione, offeso e denigrato. Il buon cittadino non dissente, ma segue, accetta e opera con solerte consenso. Una voce fuori del coro è castigata come fosse un´istigazione al terrore; un´opinione che contesta quella della maggioranza è additata come segno di disfattismo.
Questa Italia assomiglia a una grande caserma, docile, assuefatta, mansueta. Che si tratti di persone di destra o di sinistra la musica non sembra purtroppo cambiare: addomesticati a pensare in un modo che pare essere diventato naturale come l´aria che respiriamo, vogliamo che i sindaci si facciano caporali e accettiamo di buon grado che ci riempiano la vita quotidiana di divieti e consigli (sulle spiagge della riviera romagnola due volte al giorno da un altoparlante fastidioso le autorità ci fanno l´elenco di tutte le cose che non dobbiamo fare per il nostro bene e se "teniamo alla nostra salute").
Come bambini, siamo fatti oggetto della cura da parte di chi ci amministra, e come bambini ben addomesticati diventiamo così mansueti da non sentire più il peso del potere.
È come se dopo anni di allenamento televisivo siamo mutati nel temperamento e possiamo fare senza sforzo quello che in condizione di spontanea libertà sarebbe semplicemente un insopportabile giogo.
La cultura della docilità non pare risparmiare nessuno, nemmeno coloro che per ruolo istituzionale dovrebbero esercitare il dissenso. Commissioni bipartisan nascono ogni giorno; servono ad abituarci a pensare che l´opposizione deve saper essere funzionale alla maggioranza, diventare un´opposizione gradita alla maggioranza. Un´opposizione che semplicemente si oppone e critica e dissente pare un male da estirpare, il segno di una società non perfettamente docile.
Nadia Urbinati - La Repubblica, 20/08/2008

13 agosto 2008

Ecco perchè vi dico Bolivia e Venezuela sono la speranza


Frei Betto
*
A luglio sono stato in Venezuela e in Bolivia. Due paesi governati da figure politiche singolari in cerca di alternative al neoliberismo: Ugo Chavez e Evo Morales. Entrambi eletti democraticamente (Chavez rieletto).
Una primavera politica è in corso in America Latina. Dopo decenni di dittature militari ( made in Usa ) e governi neoliberisti corrotti ( made in Washington Consensus ) - Collor in Brasile, Menem in Argentina, Fujimori in Perù, Andrés Pérez in Venezuela e Sànchez de Losada in Bolivia - gli elettori scelgono di eleggere politici di estrazione sociale popolare e/o identificati con movimenti sociali progressisti.
Sono stato a Barquisimento, capitale musicale del Venezuela, invitato dall'Università Politecnica. Ho partecipato a un seminario sull'estensione dell'accesso universitario come forma di solidarietà con i settori della popolazione emarginati o esclusi.
Ho incontrato una nazione divisa. Chàvez incarna, per alcuni, il messia, per altri, il diavolo. Il primo gruppo parla entusiasta delle organizzazioni "comunali" (versione venezuelana del bilancio partecipativo) e della crescente interazione tra società civile e potere pubblico. Riconosce un miglioramento nei salari, nel consumo di beni durevoli (soprattutto automobili) e nei servizi di salute, educazione e costruzione di abitazioni popolari. Seduto sui suoi barili di petrolio (il Venezuela è il secondo esportatore verso gli Stati Uniti dopo l'Arabia Saudita) il paese si dà il diritto di promuovere grandi investimenti nelle sue infrastrutture.
Il ripudio verso Chàvez viene da una oligarchia che, grazie ai petrodollari e alla corruzione, faceva di Miami la sua capitale. E viene anche da settori della classe media, irritati per il problema frequente della scarsità di prodotti di prima necessità e dell'inflazione annua che arriva al 21%.
L'opposizione, accompagnata dai vescovi cattolici, accusa Chàvez di "cubanizzare" il paese, per il gran numero di medici e professori cubani inclusi in programmi sociali diretti ai più poveri. Sono infastiditi anche della retorica presidenziale centrata sulla rivoluzione bolivariana " rumbo al socialismo del siglo XXI ".
A La Paz ho partecipato ad un incontro di intellettuali e artisti, di vari paesi, sull'unità e sulla sovranità della Bolivia. Erano presenti alcuni ministri della cultura di paesi latino americani, compreso Juca Ferreira (Brasile) che adesso occupa il posto lasciato da Gilberto Gil. Siamo stati con Evo Morales, abbiamo approvato una dichiarazione di appoggio al suo governo che, il 10 di agosto sarà sottoposto a un referendum revocatorio (l'articolo di Frei Bettoè datato 8 agosto 2008, N.d.R. ). Il referendum revocatorio è uno strumento sommamente democratico (adottato anche in Venezuela) che obbliga il presidente, in pieno mandato, a sottomettersi al giudizio dell'elettorato. L'intera nazione si trasforma in un grande scenario di dibattito rispetto al governo.
Morales è una figura singolare. Appartiene all'etnia aymara, è un leader indigeno diventato dirigente sindacale. In un paese di nove milioni di abitanti, un terzo dei quali vive all'estero in cerca di migliori condizioni di vita, Morales cerca di far riappropriare la Bolivia delle sue fonti energetiche, come il gas e dei minerali preziosi, finora sfruttati dalle multinazionali, compresa Petrobras (l'industria pubblica del petrolio brasiliano, N.d.R. ).
Chàvez e Morales affrontano la grande sfida storica di promuovere riforme strutturali nei loro paesi attraverso una via democratica e pacifica. Entrambi soffrono pressioni costanti della Casa Bianca e dell'oligarchia locale. In Bolivia esiste un forte movimento per l'autonomia di alcune regioni, con nitide tendenze separatiste (appoggiate dal governo statunitense).
Tanto a Chàvez come a Morales si impone l'esigenza-urgente di dare consistenza all'organizzazione e alla mobilitazione popolare, ai loro partiti politici e, soprattutto, al progetto di nazione che tentano di costruire, la qualcosa oggi, si presenta confusamente con una retorica di sinistra che i poveri non capiscono, la classe media teme e i ricchi ripudiano.
In Brasile il governo Lula ha scelto una via di sviluppo senza inflazione fuori dal controllo e con una forte inclinazione sociale, attraverso politiche compensatorie (e non emancipatorie) come la "borsa famiglia", del tutto all'interno del solco del neoliberismo. In Venezuela e in Bolivia la scelta è stata rompere questo solco e promuovere riforme strutturali in modo da poter costruire un modello di società con minori diseguaglianze e più partecipazione popolare.
Il futuro è imprevedibile. Una cosa, però, è ovvia: in nessuna altra parte del mondo c'è tanta speranza, tanta ricerca di alternative, tanta utopia come, oggi, in America Latina. Si spera che il sogno si trasformi in realtà.

* Tratto da: http://alainet.org
Agenzia indipendente d'informazione sull'America Latina
Fonte: http://www.liberazione.it/ , 10/08/2008

4 agosto 2008

VII Congresso PRC - Ginosa, 29/06/2008


Risultati:

Votanti: 30
Doc 1 "Rifondazione comunista in movimento": 4
Doc 2 "Manifesto per la Rifondazione": 26
Doc 3 "Dall'appello di Firenze alla mozione dei 100 Circoli": 0
Doc 4 "Una svolta operaia per una nuova Rifondazione comunista": 0
Doc 5 "Disarmiamoci: liberi/e, pacifici/che per un congresso di discontinuità e radicalità": 0
Astenuti: 0

Comitato direttivo:
Damiano Pollicoro, segretario
Norberto Trentadue, tesoriere
Paula Maria Luca
Francesco Santamaria
Cristina Natale
Maddalena D'Abramo
Vito A. Indino, resp. Giovani Comunisti/e

Delegati/e congresso provinciale - Taranto, 11-12/07/2008:
Damiano Pollicoro, doc 2
Paula Maria Luca, doc 2
Nicola Cellamare, doc 2
Cristina Natale, doc 2
Norberto Trentadue, doc 2
Gabriele Cellamaro, doc 1

Designati:
Paula Maria Luca, delegata congresso nazionale
Damiano Pollicoro, membro Comitato politico federale
Gabriele Cellamaro, membro Comitato politico federale
Norberto Trentadue, membro Collegio federale di garanzia

Documenti finali - Chianciano, 24-25-26-27/07/2008:
"Ricominciamo: una svolta a sinistra" - documento politico approvato dal congresso nazionale (sintesi politica delle mozioni 1, 3, 4, 5 presentata da Giovanni Russo Spena)
"Rifondazione per la sinistra" - documento politico respinto dal congresso nazionale (mozione di minoranza presentata da Gennaro Migliore)


2 agosto 2008

Taranto, Ferrero all'Ilva: "Non possiamo non ricominciare da qui"

Il segretario del Prc incontra i metalmeccanici in vertenza: «Stiamo con voi»
di Fabio Sebastiani, Liberazione
Taranto (nostro inviato)

Si ricomincia da qui: dai cancelli dell'Ilva di Taranto, la fabbrica più inquinata d'Europa, da questo impatto di rabbia e disperazione; dal quartiere Tamburi, dove non c'è portone senza il suo bel carico di morti per cancro o mesotelioma; alle voci e dai volti di tanti lavoratori delusi, giovani e meno giovani: «dalla destra e d
alla sinistra», urlano, facendo scorrere il badge che apre "le porte dell'inferno".

Si ricomincia da qui:
dalla realtà operaia che attraversa tutte le epoche e sembra non cambiare mai d'aspetto. Gli ultimi dati sui profitti dei Riva raccontano che il margine operativo lordo, l'indice che misura i profitti prima delle imposte, è praticamente il doppio di tutte le busta paga delle 12mila tute blu. Forse un'impresa siderurgica non ha mai guadagnato tanto come in questo caso.

Sono passate da poco le due del pomeriggio, il neosegretario di Rifond
azione comunista Paolo Ferrero con i volantini sotto il braccio sta davanti al "cancello D". Il sole picchia impietosamente. A complicare le cose ci sono due incendi a poca distanza da qui che sprigionano un fumo denso e nero. Non ci vuole molto ad entrare nel confronto duro con i lavoratori che imboccano il cancello alla spicciolata e ributtano in faccia a Rifondazione comunista tutti i fallimenti dell'esecutivo Prodi. E, grazie all'equazione del "siete tutti uguali" che risuona in ogni alterco, anche dell'esecutivo Berlusconi. Già, perché come raccontano alcuni dipendenti dell'Ilva iscritti al Prc, davanti alle macchinette del caffè o negli spogliatoi si sente parlare solo di quanto Berlusconi pensi esclusivamente ai suoi interessi. Ferrero si è soffermato a parlare con loro, sottolineando di essere stato «per sette anni operaio della Fiat e di essere stato sempre al fianco degli operai». Ma il discorso del Prc sul "ricominciamo" non può partire da lì. Non puoi dire a un lavoratore che la situazione non va perché lui ha votato a destra.

Il punto vero oggi è l'Ilva, la sua nocività, i bassi salari, la precarietà dilagante. «E' l'intera vicenda della città», dice Ferrero. Sulla stampa locale è comparsa la lettera che Nichi Vendola ha mandato a Berlusconi proprio sull'emergenza ambientale a Taranto. «Bene - commenta Ferrero - ha fatto proprio bene». «I guadagni dell'Ilva sono talme
nte tanti che serviranno sia a risanare l'ambiente che a mettere in sicurezza gli impianti e, infine, a dare salari più alti ai lavoratori», aggiunge. Il sindacato sta per aprire all'Ilva una vertenza importante, quella per il rinnovo per il contratto aziendale. La richiesta piuttosto alta, circa 300 euro. E questo, paradossalmente, non rassicura i lavoratori, per i quali un imprenditore così generoso deve ancora nascere. «Siamo qui per intrecciare le lotte, in autunno contro i provvedimenti del governo Berlusconi e il tentativo di Confindustria di azzerare il contratto nazionale. Dobbiamo prendere i soldi da chi li ha e redistribuirli», dice Ferrero nel confronto con i lavoratori.

«All'Ilva ci sono salari bassi, precarietà altissima e un numero di incidenti pazzesco. - ha continuato il segretario del Prc - È la dimostrazione di una situazione di sfruttamento enorme che si può cambiare. Saremo con i lavoratori nel fare la vertenza aziendale. Il lavoratore chiede 300 euro di aumento e ha ragione. E noi veniamo a dargli il nostro aiuto».Ogni tanto però rispunta fuori la politica «sì è vero - ammette il segretario del Prc - abbiamo praticato troppo le istituzioni e poco i posti di lavoro». «Cosa avete fatto per noi?», chiedono a brutto muso i lavoratori. «E la legge sull'amianto?», si sente domandare in tutti gli interventi. «Sono sempre stato di destra - dice un lavoratore - ma poi ho votato Prodi. Ed ecco il risultato». «Datevi una regolata», fa un altro, «Non pensate solo all'Alitalia». «Se ci sono tante critiche - commenta Ferrero - allora vuol dire che della svolta c'era bisogno». «Il punto, oggi, è entrare in sintonia con quanti ti dicono che destra e sinistra sono tutti uguali», aggiunge. La metafora dello "sporcarsi le mani" qui a Taranto potrebbe suonare scontata e anche un po' lugubre.

Il desolforato ridipinge i muri dei palazzi e le pareti delle stanze. Tra Taranto e Brindisi, dicono le statistiche, viene prodotta il 75% della diossina di tutta l'Europa. «Basterebbe fare un volantinaggio più frequente, portare "Liberazione" di tanto in tanto», sottolinea un compagno. «Non è certo il massimo, ma almeno i lavoratori si sentirebbero meno soli». Ai "tempi d'oro" dell'Ilva si vendevano 2.500 copie de "l'Unità" e la sezione del Pci aveva 800 iscritti. Al Tamburi che oggi ha circa 20mila abitanti e non nasconde certo il suo volto proletario, vengono eletti tre consiglieri comunali e uno provinciale.

Tra autobus che strombazzano e automobili che intasano l'entrata del parcheggio, il "cancello D" a poco a poco torna squallido e solitario. Ma è solo la pausa tra chi entra e la nuova ondata di lavoratori che sta per uscire. Quasi nessuno ha voglia di parlare, ma Ferrero è sempre lì col suo bel pacco di volantini. I volti stravolti dalla stanchezza, gli abiti intrisi di sudore, le tute blu sfilano una ad una e il volantino se lo finiscono di leggere lungo i cento metri che le separano dal piazzale.

Un paio accettano di parlare delle condizioni di lavoro lì dentro. Le buste paga sono da fame e raramente sopra i 1.300 euro. Se l'asticella, come si dice, in qualche mese è un po' più alta è solo grazie agli straordinari, volontari oppure imposti. La prima malattia delle tute blu dell'Ilva è il super lavoro. I turni doppi sono la normalità. Il ricatto, del resto è totale. Anche perché con il sistema del sottoinquadramento è facile per la direzione ottenere ciò che vuole. L'operaio, in pratica, viene retribuito con un livello che non corrisponde mai alla mansione effettivamente svolta. E nessuno fiata. Del resto, in una situazione dove i lavoratori dichiarano di iscriversi alla Uilm, perché essendo il sindacato più vicino alla direzione è anche quello che dà maggiori garanzie cosa altro si può fare se non venire qui davanti e discutere a tu per tu?
01/01/2008
http://home.rifondazione.it/