26 agosto 2008

L'Italia docile che ha perso il dissenso


Nadia Urbinati - La Repubblica, 20/08/2008
Sarebbe utile interrogarsi sulla docilità, una qualità che ben rappresenta l´Italia di oggi.
Chi detiene il potere politico non è naturalmente amico del dissenso e di chi lo esercita, nemmeno quando al potere vi giunge per vie democratiche e la sua azione di governo è limitata da lacci costituzionali.
Grazie al liberalismo, che del potere ha una visione giustamente diffidente e pessimista, le società moderne sono riuscite a imbrigliare le tendenze tiranniche e dispotiche di governi e governanti e infine a eliminare l´uso della violenza dalla politica.
Diceva Tocqueville che il diritto e le costituzioni hanno reso la politica dolce perché hanno fatto posto al dissenso. I diritti che tutelano la nostra libertà individuale, non solo quella che ci consente di possedere cose materiali ma anche quella che ci rende sovrani sul nostro corpo e la nostra mente, sono un baluardo imprescindibile contro il potere, anche legittimo.
Per questa ragione, una società libera è l´opposto di una società docile. Ma le cose sono più complicate di come se le immagina la teoria.
Una società libera ha bisogno del dissenso. Anzi è desiderabile che la diversità di opinioni vi si manifesti e si esprima liberamente perché è grazie a questa diversità che il gioco politico può svolgersi e le maggioranze alternarsi.
Ma la cultura dei diritti può purtroppo stimolare anche una diversa attitudine: può indurre i cittadini ad abituarsi a perseguire il godimento dei loro diritti individuali disinteressandosi a quanto avviene nella sfera politica, salvo recarsi alle urne nei tempi stabiliti.
La società democratica può facilitare la formazione di una società docile perché indifferente alla partecipazione politica.
Lo può fare perché e fino a quando i diritti essenziali sono protetti per la grande maggioranza e non si danno quindi ragioni di dissenso. Sono le minoranze il vero problema (o, per l´opposto, la salvezza) delle società democratiche mature, perché sono loro a esprimere dissenso, a rivendicare spazi di azione che non sono in sintonia con quelli della maggioranza – se poi queste minoranze sono per giunta culturali e etniche, non semplicemente di opinione, allora decidere di non ascoltarle e perfino di reprimerle e perseguitarle può non essere visto dall´opinione generale come un problema di violazione di diritti.
La società docile non è una società che ha rinunciato ai diritti o che non è più liberale. È invece una società nella quale la maggioranza è soddisfatta del proprio grado di libertà e dei propri diritti e trova fastidioso che ci siano minoranze non domate, non silenziose e omologate, che facciano richieste che non collimano con le proprie (come nel caso di una minoranza religiosa che chiede che il diritto di culto sia rispettato anche quando il culto è diverso da quello della maggioranza).
Società democratica docile, dunque, e per questo autoritaria e paternalista.La docilità è una qualità che si predica degli animali non degli uomini; è un obiettivo che i domatori si prefiggono quando cercano di abituare un animale a fare meccanicamente determinate cose. Al moto della mano del padrone il cane sa quel che deve fare e lo fa.
Docilità significa non avere una diversa opinione di come pensare e che cosa fare rispetto all´opinione preponderante; significa accettare pacificamente quello che il padrone di turno, per esempio l´opinione generale di una più o meno larga maggioranza, crede, ritiene e vuole.
Sono ancora una volta i liberali che ci hanno fatto conoscere questo lato inquietante del potere moderno.
Un lato che si è mostrato quando il potere è riuscito ad avvalersi di strumenti nuovi; strumenti che si sono presto rivelati congeniali a un potere che si serve delle parole e delle opinioni per restare in sella, che può rinunciare alla violenza sui corpi perché si radica nell´anima dei suoi sudditi, se così si può dire.
Mentre gli antichi tiranni e monarchi assoluti usavano la tortura e le punizioni esemplari nelle pubbliche piazze, il moderno potere fondato sull´opinione non ha più bisogno di usare la violenza diretta (e se la usa, si guarda bene dal farlo in pubblico); usa invece una specie di addomesticamento che produce, come scriveva Mill, una forma di "passiva imbecillità". I cittadini docili assomigliano a una massa di spettatori: in silenzio ad ascoltare e, semmai, giudicare alla fine dello spettacolo con applausi o fischi.
La politica come spettacolo non assomiglia a un agone ma a una sala cinematografica. Il dissenso, la virtù forse più importante in una democrazia che si regge sull´opinione mediatica, è tacciato di generare destabilizzazione, offeso e denigrato. Il buon cittadino non dissente, ma segue, accetta e opera con solerte consenso. Una voce fuori del coro è castigata come fosse un´istigazione al terrore; un´opinione che contesta quella della maggioranza è additata come segno di disfattismo.
Questa Italia assomiglia a una grande caserma, docile, assuefatta, mansueta. Che si tratti di persone di destra o di sinistra la musica non sembra purtroppo cambiare: addomesticati a pensare in un modo che pare essere diventato naturale come l´aria che respiriamo, vogliamo che i sindaci si facciano caporali e accettiamo di buon grado che ci riempiano la vita quotidiana di divieti e consigli (sulle spiagge della riviera romagnola due volte al giorno da un altoparlante fastidioso le autorità ci fanno l´elenco di tutte le cose che non dobbiamo fare per il nostro bene e se "teniamo alla nostra salute").
Come bambini, siamo fatti oggetto della cura da parte di chi ci amministra, e come bambini ben addomesticati diventiamo così mansueti da non sentire più il peso del potere.
È come se dopo anni di allenamento televisivo siamo mutati nel temperamento e possiamo fare senza sforzo quello che in condizione di spontanea libertà sarebbe semplicemente un insopportabile giogo.
La cultura della docilità non pare risparmiare nessuno, nemmeno coloro che per ruolo istituzionale dovrebbero esercitare il dissenso. Commissioni bipartisan nascono ogni giorno; servono ad abituarci a pensare che l´opposizione deve saper essere funzionale alla maggioranza, diventare un´opposizione gradita alla maggioranza. Un´opposizione che semplicemente si oppone e critica e dissente pare un male da estirpare, il segno di una società non perfettamente docile.
Nadia Urbinati - La Repubblica, 20/08/2008

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