23 febbraio 2008

La Sinistra-l'Arcobaleno: siamo di parte. Contro le ingiustizie e la precarietà

Per una nuova comunità e una vera opposizione: l’Assemblea dell’Eliseo

di Stefano Bocconetti

Prove di comunità. Tentativi di costruire una nuova comunità. Ed è forse l'obiettivo più difficile. Perché va costruita assieme ad una campagna elettorale già tutta in salita. Dove i più forti, senza neanche modificare le regole elettorali, vorrebbero imporre la "legge" di due soli partiti. E, invece, dentro questa competizione la sinistra - la "Sinistra-l'Arcobaleno" - non solo chiede voti, decisivi perché ci sia un'opposizione in questo paese, ma prova a ridisegnarsi. Prova a costruire un nuovo soggetto: unitario, plurale. Tenta appunto di «chiamarsi in una nuova comunità». Che ieri ha fatto la sua prima uscita in un teatro della capitale, l'Eliseo.

Piccolo, troppo piccolo per ospitare tutta le persone che volevano assistere all'iniziativa. Molti sono dovuti restare fuori. E ci sono stati anche momenti di tensione con l'apparato di sicurezza del teatro. Tutto comunque è andato come doveva andare: anche perché Fausto Bertinotti, candidato premier e leader di questa nuova formazione, prima di entrare in sala, s'è intrattenuto a lungo, in strada, con le persone.
Parlando, ascoltando. Raccogliendo domande. Sì, perché la prima manifestazione pubblica della "Sinistra l'Arcobaleno" non ha avuto nulla, proprio nulla della tradizionale manifestazione elettorale. A tratti addirittura "spartana". Quella all'Eliseo, insomma, è stata soprattutto un'assemblea. Nella quale la sinistra ha soprattutto voluto ascoltare, capire, dialogare con la sua "gente". Per capire come delineare i punti chiave del programma che sottoporrà agli elettori.

Un'assemblea anomala a cominciare dalle breve introduzione di Daniele Silvestri. Che s'è rivolto a Bertinotti salutandolo «zio Fausto». Ma anche lui, musicista di fama, non ha concesso nulla allo spettacolo. Ha raccontato le battaglie che si stanno costruendo nel mondo dello spettacolo per superare la piaga della precarietà. Ha raccontato che la parola d'ordine del «si può fare», importata da Veltroni, può essere sostituita da un'altra, assai più affascinante: «Noi abbiamo già provato a farlo». Che è lo slogan che unisce un universo della sinistra che anche in questi anni ha provato a cambiare. A cominciare dalle cose che le erano più vicine, a cominciare dalle piccole cose. Un esempio? Questa stessa manifestazione, questa stessa sala stracolma in ogni settore. Qui, l'elettricità che alimenta luci e microfoni, è fornita da una piccola centrale fotovoltaica, che fa bella mostra di sé sul palco. «E' alimentata dal sole, non dal petrolio». Si può fare, insomma, si può cominciare dalle piccole cose (che forse non sono così piccole). Può servire da lezione alla sinistra. Sapendo - lo dirà ancora Daniele Silvestri - che questo arcipelago che prova a costruire un'altra società non «farà sconti quanto dovrà valutare il lavoro fatto».

E si continua così. Con cinque racconti. Cinque storie diverse, cinque storie raccontate in prima persona. Cinque denunce che diventano altrettante domande alla sinistra. Perché raccolga questi temi nei suo programmi, nei suoi obiettivi. E così c'è un giovane immigrato di Padova - non dice il suo nome - che viene proprio dal quartiere attorno a via Anelli. Quel ghetto che ha riempito tutti i quotidiani tempo fa, quando l'amministrazione decise di costruire un muro di cinta per separare la comunità di migranti dal resto della città. Lui non si limita a denunciare, non si limita a raccontare la delusione per un governo che non è riuscito ad abolire la Bossi-Fini. E chiede: chiede che anche questo esecutivo, dimissionario, mantenga almeno un impegno. E modifichi la legge sui permessi. Bertinotti gli darà ragione, chiedendo, che «in articulo mortis», almeno alla sua fine, l'esecutivo mostri una «volontà di risarcimento», che pure gli aveva permesso di vincere le elezioni.

E c'è poi Silvia, che fa domande scomode. Narra la sua vita di precaria, di precaria laureata, con un'alta qualificazione. Che fa lavori altamente qualificati ma mai riconosciuti nella giungla di contratti "co.co.pro". Racconta della sua doppia discriminazione: come giovane e come donna. E chiede alla Sinistra di rappresentarla in politica. Ma esattamente con le priorità che lei indica: prima le donne precarie.

E c'è poi Salvatore Cannavò. Anche di lui si sono occupati i giornali poco tempo fa. Omosessuale, fu lasciato a piedi - di notte - da un tassista, che non sopportava i gay. Lui fa la domanda che imbarazza tutti qui in sala. E la fa rivolgendosi direttamente alla prima fila, dove sono seduti i segretari di Rifondazione, Giordano, del Pdci, Diliberto, dei Verdi, Pecoraro, della Sinistra democratica, rappresentata da Titti Di Salvo, da tanti esponenti parlamentari. E dice: dopo il "nulla" di questi due anni di centrosinistra, che farete ora per sconfiggere le discriminazioni?

E poi c'è Mauro, medico di un piccolo paese nelle montagne attorno a Roma, Allumiere. Che è anche al centro del più grande polo di produzione d'energia, quello stretto fra Civitavecchia e Montalto di Castro. Dove l'Enel ha già convertito e vuole continuare a convertire a carbone le centrali. E Mauro racconta la sua esperienza, la sua duplice esperienza: di medico di famiglia e di paziente. Lui che s'è dovuto far operare di tumore alla laringe in una zona dove i tumori sono in crescita esponenziale. E c'è il racconto, toccante, di Cristina Grasso. Figlia di un commerciante che non si piegò al racket della 'ndrangheta e per questo fu assassinato. Lei ha scelto, nonostante tutto, di restare a vivere a Locri, in Calabria. Lei ha scelto di continuare la battaglia contro le cosche. E alla sinistra, alla sua "sinistra" - che ispirò anche gli ideali di suo padre - chiede più impegno su questo tema. A cominciare dai nomi che si mettono nelle liste elettorali. La accoglie un boato.

Ed è in questo clima che prende la parola Bertinotti. Anche qui, un Bertinotti molto informale. Che comincia appellandosi agli «amici e ai compagni». Un incipit antico, da tempo forse un po' in disuso. Due parole che servono però a portarlo subito dentro il tema che vuole affrontare: quell'«amici e compagni» serve per una sorta di reciproca accettazione delle diversità. Che vanno però riconosciute in un'unica comunità, la nuova sinistra. Che si vuole cominciare a costruire proprio cominciando da questa campagna elettorale.

Un compito che sembrerebbe impossibile, difficilissimo. Eppure, non si parte da zero. Perché Bertinotti ha la sensazione che «sotto il cielo d'Italia ci sia più sinistra di quanto non sia visibile nella politica».

Una sinistra diffusa, sotterranea che - esattamente come qui all'Eliseo - pone domande. Che riguardano l'immediato - cosa fare ora, come costruire, ampliare consensi alla "Sinistra-l'Arcobaleno" - ma che riguardano anche il dopo elezioni. Il «come costruire un futuro» alla sinistra. Come costruire, insomma, il nuovo soggetto unitario e plurale.

E qui, il candidato premier dice un'altra cosa un po' fuori dagli schemi. Dice che prima ancora che nel dettaglio delle proposte, quel "futuro" si costruisce con un metodo. Con un atteggiamento: «Dobbiamo tornare in sintonia, in connessione sentimentale col nostro popolo», dice, citando Antonio Gramsci.

Oggi tutto questo significa avere capacità di ascolto. Significa che la partecipazione non può diventare un optional per la nuova sinistra, deve diventare il suo modo d'essere. Solo insieme alle persone, ai movimenti, solo insieme a chi non si rassegna al mondo così com'è, si può cominciare a disegnare un'alternativa di società. Solo insieme, insomma, si può cominciare a delineare «il senso di dove vuoi andare».

Poche parole che bastano a raccontare una sinistra che ha scelto di elaborare una propria visione delle cose, che ha scelto di pensare in modo autonomo. E tutto questo si lega alla campagna elettorale. Perché molti osservatori hanno fatto notare che, al di là di un programma fragile e scopiazzato, le carte di Veltroni sono soprattutto nelle idee forza che ha gettato nella disputa. Idee discutibili, certo, sbagliate, ma comunque idee. E la sinistra?

Anche la sinistra ce l'ha. E' quella che Bertinotti ha chiamato il «bandolo della matassa». O, in un altro passaggio, i «simboli piantati nella testa delle persone», citando la prefazione al Capitale. E l'idea forza della nuova sinistra, la sua idea orgogliosamente definita «di parte», è «nel rifiuto ad accettare la logica della precarietà permanente».

Beninteso, il Presidente della Camera non si riferisce solo al lavoro. Certo, parte da qui, raccontando come l'instabilità del rapporto di lavoro serva all'ultimo capitalismo. Ma dal lavoro, la precarietà si è estesa a tutti i rapporti. Ha investito la sfera personale, ha plasmato il rapporto fra il genere umano e la natura. Ha invaso i rapporti sociali, minandone la coesione. La precarietà è intervenuta a disegnare un vero e proprio modello di società.

Ed è qui che Bertinotti parla del piddì. Rifiuta l'analisi di chi vorrebbe un partito democratico uguale in tutto al partito delle libertà. Ma dice: c'è una destra, iperliberista, che disegna un modello fondato sull'esclusione, sulla disuguaglianza. E c'è un piddì che accetta le premesse - il modello è questo e non si discute - e si limita a provare ad attenuarne gli effetti. Provando solo ad includere qualcuno e qualcosa. Con qualche caduta di stile, come quando i democratici parlano di «crescita». Termine e idea contestata da decenni non solo dagli ambientalisti ma dagli stessi settori più attenti dell'imprenditoria. Ma è comunque l'intera filosofia dei democratici, il loro restare tutti «dentro» i confini del modello dato, a raccontare che non può essere quella l'alternativa alla destre.

Alternativa che invece c'è, deve tornare ad esserci. Un'alternativa che cominci a riparlare del lavoro, dei lavoratori dopo decenni in cui il tema è stato relegato ai margini. Che riparta dalla natura, superando le vecchie contrapposizioni - che pure hanno segnato la storia del movimento operaio - fra difesa dell'occupazione e difesa dell'ambiente. Che si fondi sulla persona. Ed è qui che Bertinotti affronta il tema della laicità. La rivendica, non solo nell'accezione liberale (alla quale, comunque, «tanto di cappello»). Lui pensa ad una nuova definizione di laicità, ad una nuova frontiera: non all'idea risorgimentale ma come filosofia alla base di una convivenza fra diversi. Garanzia di diritti per tutti e non solo. Garanzia che le differenze siano valorizzate, diventino lo strumento per costruire contaminazioni, integrazione. Per costruire una nuova identità culturale. E qui dentro ci sono anche le istanze di libertà proposte dalle donne. Istanze che rappresentano - simbolicamente - un intero mondo: c'è chi non si limita a dominare la forza lavoro, il plus lavoro. Ora vogliono dominare le mente, i tempi, i corpi. Chi si ribella, le donne, quasi solo le donne, viene represso, disprezzato, relegato ai margini.

Ecco, la sinistra. Fra poco - l'ha promesso Bertinotti a quella folla che non è riuscita ad entrare ieri all'Eliseo -, il 2 marzo, ci si rincontrerà per parlare del programma. Punti dettagliati sui quali costruire proposte e battaglie. Ma anche il miglior programma da solo non basta. Ci vuole qualcosa in più. Ci vuole un'idea, un progetto mobilitante. La sinistra, la nuova sinistra italiana, da ieri ce l'ha.

21 Febbraio 2008

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Postato da: http://home.rifondazione.it/

11 febbraio 2008

Forum on-line con Franco Giordano


Martedì 12 febbraio ore 15


forum on-line con il segretario nazionale PRC-SE


Franco Giordano





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7 febbraio 2008

Il Governo Prodi è caduto, il 13 e 14 aprile si vota...

In questo periodo pre-elettorale, spopolano i sondaggi, sono ovunque in TV, su internet, sui giornali... C'è un sondaggio in particolare che interessa in particolar modo il popolo di sinistra... Tu cosa ne pensi?



MANNHEIMER; il 52% degli elettori di SINISTRA vuole la FALCE e il MARTELLO.
7 feb. - Presentarsi o no con il simbolo comunista della falce e martello? Il dilemma che divide al momento la sinistra Arcobaleno divide anche i suoi elettori, stando almeno ai risultati del sondaggio svolto da Renato Mannheimer per la trasmissione 'Porta a porta'.
Prevale chi resta affezionato al vecchio simbolo o quanto meno lo ritiene opportuno e vantaggioso per la campagna elettorale ma i contrari si posizionano non molto sotto alla meta'.
Infatti, dice si' alla falce e martello il 52% degli elettori di sinistra mentre risponde no il 44% di essi in prevalenza Verdi anche all'interno della sinistra democratica, di Rifondazione e del Pdci seppure con percentuali piu' basse.
Alla stessa domanda, rivolta pero' a tutti gli elettori, sia di centrosinistra che di centrodestra, il 21% ritiene opportuno che la sinistra Arcobaleno inserisca nel suo simbolo la falce e martello mentre il 64% chiede di rinunciare allo storico simbolo del comunismo. (Adnkronos)