1 ottobre 2008

Le parole pulite dei nostri perchè

da www.nichivendola.it

La destra sembra occupare l’intera scena del simbolico, governa proiettando a ritmo continuo il film della propria ideologia. Con una spasmodica attenzione agli strumenti della comunicazione e alla formazione del senso comune, la destra esibisce una spregiudicata padronanza della “realtà percepita” con cui divora e mistifica la “realtà reale”.Il suo programma politico è semplice: “rovesciare il ‘68″, e cioè sterilizzare, ben dentro le viscere della società italiana, tutte le culture critiche che ne hanno innervato e qualificato il tessuto civile e democratico; riscoprire il fascino delle gerarchie sociali e rilegittimare le forme, sia pure moderne e persino post-moderne, di un sovrano legibus solutus, ovvero di un potere che assolutizzando il primato del sistema d’impresa usa la politica come una protesi del mercato, come il terminale chiassoso ma inerte delle scelte vincolanti delle grandi famiglie del capitalismo internazionale. La destra ha vinto. Nelle urne e nella politica. Ma prima ancora ha vinto nei cuori e nelle menti di una larga “opinione pubblica”, spaventata e disidentificata dai processi di globalizzazione, narcotizzata dalla Tv pubblico-privata del pensiero unico (quella che educa all’analfabetismo pornografico de “Il grande fratello”), plasmata dal desiderio violento di possedere come surrogato (in forma di merce) della vita e del suo senso. Capitalisti, anche se privi di qualsivoglia capitale. Quasi figli di un capitalismo antropologico, una vera educazione sentimentale al consumo e al primato dei “valori di scambio”.Questa è la ragnatela di significati inediti in cui gli individui restano impigliati. I legami sociali perdono valore, i cittadini ragionano come clienti, il mercato produce la società, io esisto perché possiedo (merci, forza, potere) e non perché parlo con te, tu sei non il dono della differenza ma la minaccia della diversità, se il mio reddito e la mia casa sono a rischio io avrò paura e cercherò il colpevole della mia paura, punirò il colpevole della mia paura. E se la mia paura è la povertà (perché crollano le grandi banche internazionali e soffiano sul mappamondo i venti della recessione) allora punirò tutti i poveri.Non c’è sinistra che non sia innanzitutto capacità di demistificare l’ideologia trionfante della destra. La destra è una formidabile fabbrica delle paure, nella quale si fabbrica un’egemonia culturale che rende necessario seppellire la precarietà del vivere e del lavorare sotto la polvere delle culture d’ordine, delle sollecitazioni securitarie, delle pulsioni disciplinari ed emergenziali.La sinistra non può presentarsi come un esorcista dei fantasmi della destra. Deve smetterla di vivere sull’altalena, scegliendo o la subalternità allo “stato delle cose” o la fuga spettacolare nella predicazione senza politica. Il minimalismo e il massimalismo talvolta si appalesano come due facce della stessa medaglia: la vocazione al suicidio. La soggezione ai totem delle proprie narrazioni (un riformismo edulcorato e debole oppure un radicalismo delle chiacchiere) offusca oggi l’intelligenza della sinistra. A fronte di un’Italia che sta saltando, di un Paese orfano di un condiviso racconto etico-politico, di una nazione polverizzata in lobbies e corporazioni, la sinistra appare una voce fuori campo.Noi pensiamo che sia urgente tornare in campo: non con la passività delle curve, ma con una invasione del campo delle idee, praticando conflitti, ritessendo fili di socialità, costruendo saperi. Tornando a nominare le cose, ripulendo le parole da tutte le lordure ideologiche e pubblicitarie con cui sono state manipolate, ecco curando: le parole malate con cui ha infettato le proprie ambizioni, le parole che l’hanno imbalsamata nel dogmatismo, quelle che l’hanno spenta nel trasformismo. Noi pensiamo che la sinistra debba subito riaprire i cantieri costituenti della propria rifondazione ideale e programmatica. La sinistra delle libertà deve rapidamente capire qual è la partita. E chiedere ad un popolo (non ad un apparato o ad una corrente) di prepararsi a giocare.
Nichi Vendola

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